venerdì 21 agosto 2015

Racconto: Dietro la Parete di Gina Pitarella

Dietro la parete
© Gina Pitarella


Giorgia dormiva profondamente quando un pianto lamentoso le si insinuò nelle orecchie, strappandola completamente dal proprio sogno.
Si mise a sedere di scatto, la testa che le martellava per via dell’emicrania e la debolezza che ancora l’avviluppava. Batté con violenza il pugno contro la parete per zittire i lamenti incessanti della sua vicina. Dopo qualche pugno ben assestato, la vicina si acquietò e il silenzio tornò padrone della notte. Giorgia viveva da ormai un mese nel campus universitario e condivideva la camera con Matilde. Le pareti erano di comune cartongesso e si riusciva a udire gli schiamazzi provenienti dalle altre stanze. Ma solo una ragazza dava così tanti problemi di notte, e viveva proprio oltre il muro che affiancava il letto di Giorgia.

«Che succede?» chiese, con la voce impastata, Matilde.
«È quella secchiona della vicina, ha ripreso a parlare nel sonno, credo» le rispose con rabbia. «Ma tra tutte le stanze libere nel dormitorio, doveva capitare proprio accanto a noi?»
Matilde ridacchiò e si sistemò nel calore della coperta. Da più di un mese affrontavano le angherie della loro vicina, una fuoricorso acida che studiava notte e giorno. «Prima o poi la smetterà» disse, calma.
Giorgia si infervorò: «Non è colpa nostra se non è in grado di superare gli esami! Abbiamo il diritto di dormire la notte!» Si stese nuovamente e affondò la testa nel cuscino. Attese qualche minuto prima di rilassarsi, pronta a scattare al più insignificante respiro. Ritrovare la concentrazione per addormentarsi era impossibile, ogni volta che la stanchezza aveva il sopravvento, si svegliava di soprassalto, certa di aver udito nuovamente i lamenti. Nei fumi del dormiveglia ebbe quasi l’impressione di udire un risata sommessa, una risata maschile.
«Hai sentito?» le chiese improvvisamente Matilde, con voce preoccupata.
Giorgia aprì un solo occhio e tentò di mettere a fuoco gli oggetti nella stanza. Vide il letto della sua coinquilina e indovinò la sua sagoma; Matilde si era tirata il lenzuolo fin sulla testa e stava tremando. «Cosa avrei dovuto sentire?»
Matilde mugugnò qualcosa a proposito della porta e Giorgia allungò la mano per accendere la lampada. Quando la luce rischiarò ogni briciola di oscurità, udì un verso roco provenire oltre la parete e si discostò leggermente da essa. «La porta è chiusa» rispose all’amica, ma quel verso indefinito le aveva messo paura. «L’ho chiusa io stessa.»
«L’ho vista aprirsi» bofonchiò Matilde.
Giorgia poggiò i piedi nudi sul pavimento gelido e fece qualche passo verso l’ingresso, scansando libri e vestiti che erano rimasti sul pavimento. Poggiò la mano sulla maniglia e per un attimo credé di trovarla aperta, invece la serratura fece resistenza. Si rasserenò. «È chiusa a chiave».
Ma uno scossone attraverso la parete la fece tremare e Matilde strillò per la paura. La vicina stava battendo i pugni contro la parete per vendicarsi e le vibrazioni giungevano sino alla porta, che pareva discostarsi dal muro tanto era spropositata la forza che la donna stava imprimendo in quei pugni. «Questa è matta!» sbottò Giorgia. Corse alla parete confinante e batté anch’ella calci e pugni. «Smettila! Va’ a dormire invece di disturbarci!» urlò a squarciagola.
Stettero entrambe ad ascoltare in silenzio la reazione della vicina, ma non udirono altri suoni. Giorgia tornò a sedersi sul letto, ormai completamente preda della rabbia. «Assurdo!» disse fra sé e sé. Prima di allora la vicina non aveva mai dimostrato una reazione tanto furente, aveva sempre tacitamente obbedito alle loro proteste.
Giorgia si rimise a letto, ma la sua mente oramai era troppo attiva per sperare di riposare e non negava a se stessa di avere un’insolita paura che l’angustiava; aveva l’impressione che un masso le premesse sullo sterno e le togliesse il respiro. E la reazione spropositata di Matilde l’angosciava ancora di più. Per la prima volta si rendeva conto di quanto poco sapessero della loro vicina. Ricordava vagamente che il suo nome fosse Grazia. «Ma tu l’hai mai vista?» chiese improvvisamente all’amica.
Matilde non rispose subito, stava ancora riprendendosi dalla paura. «No» le rispose con una vocina sottile e lugubre. «L’ho solo sentita studiare qualche volta.»
Giorgia socchiuse le palpebre, la luce della lampada era troppo forte per i suoi occhi stanchi. «Dovremmo…» ma la sua frase fu interrotta da una serie di scalpiccii. Qualcuno stava tamburellando con le nocche contro la parete, come se volesse prendersi gioco di loro.
«Mi sta mettendo paura» ammise Matilde.
Giorgia si alzò di scatto e si precipitò fuori dall’appartamento, sentì vagamente la vocina spaventata di Matilde che le chiedeva di fermarsi e non compiere azioni avventate. Non notò quanto poco illuminato e frequentato fosse in corridoio, rispetto alle settimane precedenti; e non si accorse neppure della risata di scherno che echeggiava attraverso la parete accanto al suo letto. Giunta dinnanzi all’appartamento che le interessava, prese a battere il pugno contro la porta. «Aprimi!» tuonò. Non le importava di svegliare i vicini.
Pose le mani sui fianchi e con il mento alto attese che l’abitante dell’appartamento si decidesse ad affrontare la sua furia. Ma nessuno si fece vedere. Ripeté la procedura più e più volte, finché stanca delle mancate risposte, arpionò la maniglia e la abbassò, imprimendo tutta la forza su di essa. La maniglia cedette e Giorgia trasalì, non immaginava di trovare la porta aperta.
In fondo al corridoio si udì un cigolio e una testa bionda si affacciò oltre la soglia di una porta, sbirciando nella sua direzione. «Si può sapere cosa stai combinando? Qui c’è gente che deve riposare» disse questi con voce afona.
Giorgia arrossì lievemente. «Non è colpa mia, è questa pazza» disse, indicando la porta, «che non mi fa chiudere occhio.»
L’uomo si guardò intorno, circospetto  «Parli dell’appartamento 7B?» chiese con voce impastata.
Giorgia si limitò ad annuire. Leggeva un certo sgomento sul viso dell’uomo e non ne capiva la ragione. «Mi dispiace per averti svegliato» disse, temendo che l’uomo la rimproverasse ancora.
«Ma qui non ci vive nessuno da mesi» disse questi improvvisamente.
Giorgia impallidì e la sicurezza scivolò via dal suo corpo. «Impossibile… sono giorni che la sento parlare» bisbigliò.
«Ha lasciato gli studi» disse questi e poi sparì dietro la porta, sbattendola con foga.
Giorgia rimase qualche istante a fissare la penombra del corridoio, dietro di lei si apriva la stanza della vicina: un buio antro dove la presenza della vita mancava da tempo. Si voltò pian piano a guardare ciò che nascondeva l’oscurità, certa che quell’uomo si sbagliasse, perché era impossibile che l’appartamento fosse disabitato. Vide solo un vecchio materasso al centro della stanza e un comodino impolverato che gli faceva compagnia; nulla faceva sperare che ci abitasse davvero qualcuno.
Non ebbe il coraggio di chiudere la porta, di porre fine a quello spettacolo misero che le confondeva le idee; si fiondò nella propria camera e serrò il chiavistello.
«Che succede?» chiese Matilde, che per tutto il tempo non aveva abbandonato il proprio letto.
Giorgia si girò verso la ragazza con la paura che le montava in petto; dall’espressione preoccupata dell’amica, immaginò che dovesse avere un aspetto terribile. Non abitava nessuno accanto a loro, allora chi disturbava le loro notti da più di un mese? Quale orrendo abominio si celava – non oltre la parete – ma attraverso essa?
«Che ti ha detto la vicina?» chiese Matilde.
Giorgia aprì la bocca per parlare, ma qualsiasi parola stesse per pronunciare, fu interrotta da una serie di colpi ben assestati che scossero il muro e fecero tremare i vetri della finestra.
«C’è qualcosa nel muro!» urlò Giorgia, sovrastando i rumori molesti. Matilde spalancò gli occhi e non pronunciò parola.
Giorgia scostò il letto dal muro e si guardò in giro alla ricerca di un oggetto abbastanza resistente da intaccare la parete di cartongesso. I suoi occhi si fermarono sull’attaccapanni di ferro, staccò la parte superiore dalla base e la brandì come un paletto. Le ci vollero pochi colpi per creare una crepa in quella che ormai era divenuta una barriera che le separava dall’ignoto.
«Stai facendo un macello!» strepitò Matilde, preoccupata, stavolta, per l’abnorme reazione della coinquilina. Tra la polvere bianca intravide le spalle di Giorgia: le braccia abbassate lungo i fianchi, la pesante arma caduta al suolo. Gli occhi della ragazza erano puntati nello squarcio. «Che c’è?» le chiese, raggiungendola e tossendo nel contempo.
Nella parete non c’era nulla se non schiuma isolante. Eppure Giorgia sembrava in trance, le iridi puntate su un piccolo oggetto bianchiccio che sporgeva tra i calcinacci.
Matilde ne seguì lo sguardo e vide delle lunghe falangi ossute ritrarsi nel buio della parete. «Cosa?!» strepitò e si allontanò più che poté. «Cosa diavolo c’è lì dentro?» gridò con le lacrime agli occhi.
Giorgia si passò la lingua sulle labbra secche e inghiottì più volte, tuttavia non riuscì a trovare una spiegazione.
«Come c’è finito un cadavere nel nostro muro?» gridò Matilde.
Nell’oscurità della voragine si intravide il bagliore della mano scheletrica che poc’anzi aveva spaventato entrambe, durò solo un attimo, poi udirono nuovamente i battiti contro la parete. Sembrava che quell’essere stesse chiedendo il permesso di entrare nella stanza, di lasciare la sua prigione.
«Aiuto» Si udì al termine dei battiti. Era una voce spettrale e lontana, un lamento che entrambe le ragazze registrarono come uno spiffero di vento gelido.
«Ci sta chiedendo aiuto» disse Giorgia con voce lontana.
«Ma cosa stai blaterando? Vieni via da lì!» strepitò Matilde, addossatasi contro il proprio letto.
Giorgia si avvicinò alla parete e batté lievemente le nocche su di essa. Prontamente, il cadavere dall’altra parte le rispose con la medesima dolcezza. «Ha bisogno di aiuto» disse a se stessa. Si sporse nella voragine e guardò con circospezione nell’intercapedine del muro. Prima a destra: nulla. Poi a sinistra: il buio.
Un urlo si diffuse nella stanza e Giorgia vide una massa informe e bianca trascinarla all’interno della parete.
Matilde guardò, inerme, la sua compagna sparire oltre lo squarcio; calzò in fretta le scarpe e indossò un maglione sopra il pigiama.
«Aiuto.» Si udì ancora, ma non era Giorgia a chiedere soccorso, era quel cadavere.
Il cuore di Matilde parve perdere un battito, raggiunse la porta e tentò di aprirla, ma la serratura era chiusa. Ricordò solo allora che Giorgia l’aveva chiusa a chiave.
Strinse, forte, la maniglia, e si voltò nel punto in cui aveva visto l’ultima volta la sua compagna.

Qualcuno rideva e continuava a bussare. Stavolta, però, erano in due a farlo.
Pubblicato nella raccolta Short Story di Lettere Animate Editore: http://goo.gl/5x5nE7
Autore: Gina Pitarella

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