mercoledì 19 agosto 2015

Racconto: Le statue di Lukovà di Gina Pitarella



Le statue di Lukovà

© Gina Pitarella


Daniel era profondamente addormentato, il viso premuto contro il finestrino dell’utilitaria su cui viaggiava. Era talmente stanco da non accorgersi delle scarse capacità di chauffeur di Nicolas, un uomo del posto che si era offerto di fargli da guida.
Neppure il suo continuo ciarlare, frasi pronunciate in un italiano perfetto, riuscivano a destarlo. L’uomo gli descriveva le bellezze della propria città, Lukovà in Repubblica Ceca. Era una cittadina immersa nel verde, costituita principalmente da dimore basse. Una città fatta a misura d’uomo, dove trascorrere un’esistenza serena. Eppure, a quanto dicevano molti, negli ultimi tempi la vita tranquilà di Lukovà era stata interrotta da alcuni eventi paranormali.
Daniel era un aspirante giornalista, che si occupava soprattutto di notiziole locali di poco conto, con lo scopo di eliminare dicerie e smascherare falsità legate alle superstizioni.
Nicolas sterzò bruscamente e Daniel batté la fronte contro il finestrino, destandosi. Non ebbe tempo di riprendersi, di fare mente locale su dove fosse e per quale ragione viaggiasse con un completo sconosciuto in una macchina puzzolente, che Nicolas gli annunciò: «Ecco la chiesa.»
Daniel sgranò gli occhi e aprì la portiera della macchina. Davanti a sé c’era la chiesa di San Giorgio. All’esterno era una chiesa come tante altre, con le solite caratteristiche e bellezze. Lui, da buon italiano, era abituato alla loro vista, che nel proprio Paese si susseguivano in maniera impressionante, e spesso vi passava accanto senza chiedersi che storia avessero alle spalle. Ma era ciò che racchiudeva la struttura a renderla una delle più interessanti che avesse mai visto.
Varcò la porta insieme all’uomo e subito fu catapultato in una realtà spaventosa. Le panche all’interno erano riempite da decine di “fantasmi”, che lo turbarono. Le teste calate e il corpo interamente ricoperto da drappi bianchi. Stavano lì, immobili, seduti sulle panche o in piedi, ciascuno concentrato nelle proprie preghiere. Per via delle cattive condizioni atmosferiche, la luce che illuminava quegli spettri era fioca e creava strane ombre su di essi.
Daniel fu travolto da una sensazione di oppressione e si portò una mano al petto, mentre con l’altra frugava nel borsone, in cerca della propria videocamera.
«Fa un certo effetto, eh?» chiese Nicolas mentre superava tre di questi fantasmi e si dirigeva verso l’abside. Daniel avrebbe voluto dirgli di togliersi di mezzo e di lasciargli filmare la navata prima che quel gioco perfetto di luci terminasse, ma Nicolas non sembrava una persona accomodante; piuttosto una che fosse in cerca di notorietà.
«Sono statue di gesso» spiegò Nicolas, che si mise subito in posa appena capì di essere ripreso. «Costruite da Jakub Hadrava con lo scopo di riportare sotto i riflettori la nostra chiesa.»
Era arrivato il momento di fare giornalismo: «Perché i fedeli l’hanno abbandonata?» chiese con voce impostata. Si era documentato bene prima di partire, ma sapeva che, spesso, i locali conoscono verità che nessuno racconta e aveva intenzione di sfruttare Nicolas in tal proposito.
Nicolas mise le mani in tasca e raccontò per sommi capi la storia. La costruzione della chiesa risaliva al 1352 e per secoli non era stata interessata da eventi degni di nota. Alla fine del XVIII secolo, però, un terribile incendio aveva rovinato la struttura, salvando soltanto il presbiterio. Continuò a parlare con entusiasmo dei vari restauri apportati nei secoli seguenti, mostrando ogni punto in cui era intervenuto l’uomo e descrivendo ogni singolo dipinto, soffermandosi sulla scelta dei colori e altra roba simile, annoiando terribilmente Daniel, che aspettava con trepidazione la parte saliente della storia.
Finalmente Nicolas si voltò, resosi conto di essersi dilungato troppo su questioni che interessavano a ben pochi. Gli sorrise, come se volesse scusarsi della sua logorrea. «Ma a te interessa del crollo, vero?»
«Diamine, sì!» gli disse, un po’ esasperato.
Nicolas non si offese, come avrebbero fatto in molti, e sorrise. «Nel 1968, me lo ricordo come se fosse ieri, si stava svolgendo il funerale di una donna, un’amica di mia nonna. All’epoca avevo solo otto anni, eppure mi si è stampato tutto nella mente come una diapositiva» disse mentre batteva il dito contro la fronte. Iniziò a raccontare la vicenda con gesti ricchi di teatralità, degni del più bravo fra gli attori. «Il tetto venne giù con una velocità tale da oscurare tutto, nessuno ebbe il tempo di accorgersi di cosa stesse accadendo, non ci fu neppure un’avvisaglia di ciò che sarebbe accaduto. Nessuno, neppure il prete, aveva mai sospettato che ci fosse un così serio problema di cedimento.»
«Morì qualcuno nell’incidente?»
Nicolas annuì e mosse la mano velocemente. «Quella mattina entrarono in chiesa molte persone, lo ricordo bene. In molti persero la vita.»
«Come hai fatto a salvarti?»
Nicolas si strinse nelle spalle. «Solo fortuna.» Calò la testa per qualche secondo, come se volesse riportare alla mente quei momenti terribili. «Una parte abbondante di soffitto cadde a pochi passi da me, mia nonna non ce la fece.» Sospirò amaramente. «Le persone del luogo iniziarono a dire che questa chiesa era maledetta, che la guerra aveva rovinato per sempre la sua santità.»
Ecco il punto in cui Daniel voleva arrivare. Mise a fuoco la videocamera e si fece attento. «Che rapporti ci sono tra la seconda guerra mondiale e questo luogo sacro?» chiese.
Nicolas perse la propria baldanza e intrecciò le mani dietro la schiena. Si schiarì la voce più volte ma per molto tempo non disse nulla, come se si fosse perso in pensieri bui. Il suo viso raccontava per lui gli orrori che gli attraversavano la mente. «Si dice che le statue di Hadrava rappresentino i tedeschi che venivano qui durante la guerra, pregando affinché il conflitto terminasse. Ma hai guardato nelle statue?»
Daniel prese la videocamera e si avvicinò ad una di essa, dopo un profondo respiro inquadrò il cappuccio e vide che l’interno era vuoto. L’artista aveva riprodotto solo delle lenzuola modellate in modo che i visitatori avessero l’illusione che ci fosse qualcuno sotto.
«Quelle statue rappresentano la sofferenza, la speranza, la fede» continuò Nicolas. «Possono essere chiunque… possono ospitare chiunque» aggiunse con un sussurro.
«È per questa ragione che mi hai chiamato?» Daniel abbassò la telecamera senza motivo.
«Da qualche mese si ricevono testimonianze inquietanti. In molti hanno asserito di aver sentito strani lamenti, altri hanno giurato che le statue cambiassero posizione…»
«Le solite voci per attirare turisti, insomma.»
«No!» scattò Nicolas «Sono notizie che noi del luogo teniamo nascoste. Questa chiesa è stata abbandonata per trent’anni a causa di quella tragedia e solo l’intervento di Hadrava l’ha salvata dalla demolizione. Ci pensi cosa accadrebbe se si spargesse una voce del genere?»
«E vuoi che io dimostri che non c’è alcun pericolo, giusto?»
Nicolas sorrise. «Diciamo di sì.»
Daniel spense l’apparecchio e si tolse il borsone dalla spalla. «Bene, ho il permesso di restare qui?»
«Certo che no, ovvio» disse, ridendo.
Daniel si bloccò. «Vuoi dirmi che non ho il permesso delle autorità per stare qui?»
«Voglio dire che devi nasconderti per bene al momento della chiusura e ritornare nel tuo nascondiglio quando le porte della chiesa saranno riaperte domani mattina.»
Daniel scosse la testa. «Tu sei matto» disse, ma in cuor suo aveva già accettato il rischio.
***
Daniel era seduto in mezzo alle statue, come un comune visitatore – che fosse egli un fedele o un turista in cerca di emozioni. Era circondato da quegli “spettri” e tentava di abituarsi alla loro presenza prima che calasse il buio. La suggestione poteva fare brutti scherzi e per lui era fondamentale studiare a lungo quella che sarebbe stata la causa della sua prossima notte insonne. Non era spaventato, era uno di quegli scettici pronti a demolire ogni credenza umana.
Aspettava il momento opportuno per alzarsi e sgusciare in un punto poco frequentato. L’occasione gli si presentò molte ore dopo che il sole fosse tramontato; fu annunciato che presto le porte sarebbero state chiuse e i fedeli si alzarono uno dopo l’altro per uscire. Daniel fece lo stesso, ma non raggiunse mai la porta, aggirò l’orda di turisti e si nascose.
Rimase acquattato al suolo per pochi minuti, ad ascoltare i suoni divenire pian piano dei sussurri lontani. Quando piombò il silenzio, si fece forza e si rialzò. Era buio e la poca luce che filtrava dall’esterno riluceva sui manti bianchi delle statue.
Non perse tempo, accese la videocamera e azionò il visore notturno. «Eccoci qui, cari amici della notte…» iniziò con tono scherzoso. «Mi trovo davanti alle “terrificanti” statue di San Giacomo e aspetto che non accada nulla fino a domattina» disse con tono stanco. Abbassò la videocamera e sbadigliò rumorosamente. Si avvicinò alla prima panca, vi era stata posata solo una statua e le sorrise con sarcasmo, teneva le braccia poggiate sul leggio e la testa rigorosamente calata. Si sedette accanto ad essa e fischiettò per qualche secondo mentre guardava la figura. Era talmente ben fatta che, per un attimo, credé che si voltasse a guardarlo. «Dannazione, non farti prendere dalla paranoia» si rialzò. Ritornò alle riprese e passò, svogliatamente, da una statua all’altra. Aveva tutta la notte davanti a sé e in qualche modo doveva trascorrerla.
Per la fretta aveva lasciato il computer portatile in albergo e non sapeva come trascorrere il tempo, per fortuna aveva le sue sigarette. Portò il pacchetto alla bocca e ne estrasse una con i denti. Accese la sigaretta e assaporò la prima boccata. Si accorse che parte della lente si era sporcata, perché vedeva una sfocatura sul video; vi passò un dito sopra per ripulirla, ma la sfocatura non sparì. Meccanicamente guardò il punto che stava riprendendo e gli parve di vedere la stessa sfocatura, come se fosse impressa sulla parete.
«Ma che…» sussurrò e si avvicinò al punto in ombra. Metteva un passo dopo l’altro, la telecamera puntata in avanti e le dita che si intorpidivano. Sentiva la tensione montargli nel petto, ma diceva a sé stesso che era solo illusione, non esisteva nulla di strano in quella chiesa. Eppure non riusciva a staccare gli occhi dall’obiettivo, come se lo distaccasse da tutto ciò che accadeva, facendogli credere di essere estraneo agli eventi. Non appena fu abbastanza vicino, la sfocatura scomparve e fu accompagnata da un soffio, uno sbuffo che lo fece trasalire.
Toccò la parete su cui si era prodotto lo strano fenomeno. Non c’era nulla di strano. Forse era stato solo un effetto della stanchezza. Decise quindi di tornare al proprio posto e di aspettare che la notte terminasse. Si sedette nuovamente sulla prima panca, accanto alle due statue. Quella che aveva le braccia poggiate sul leggio e l’altra che guardava in direzione dell’abside. Si poggiò allo schienale con uno schianto e sospirò, la sigaretta ancora stretta tra le labbra e la cenere che cadeva.
«Brutta faccenda…» disse, rivolto al suo nuovo “compagno”, come se questi potesse rispondergli.
Táhni
Daniel schizzò in piedi, la sigaretta gli cadde dalle labbra e rotolò sul pavimento. Arretrò. Si guardava intorno con la bocca spalancata. Il cuore sembrava impazzito, le orecchie gli fischiavano per lo shock. Paura non era esattamente la parola adatta per descrivere le sue emozioni in quel momento. Sorpresa. Ecco, era sorpreso.
«Nicolas, sei tu, non è vero?» chiese in tono minaccioso. «Se questo è uno scherzo per prenderti gioco del mio lavoro, ti prego di smetterla.» Spense la videocamera, non avrebbe sprecato ulteriormente le batterie. «Quante stronzate mi ha raccontato? Eh, compagno?» chiese alla statua. «Sei fortunato a startene da solo, la compagnia non sempre è costruttiva» continuò. “Solo”. C’era solo una statua sulla prima panca, eppure era convinto di averne vista una seconda. Combatté per un po’ alla tentazione di guardare la registrazione e si convinse che si fosse semplicemente sbagliato.
«Al diavolo» si incamminò verso l’uscita; superò quattro statue che erano state poste davanti all’uscita e spinse la porta. Era chiusa a chiave. Aveva dimenticato che sarebbe stata riaperta solo il mattino successivo. Batté la testa contro il legno e sospirò. «Stai calmo, non c’è nulla qui, è solo uno scherzo.»
Si girò e per poco non si fece sfuggire un urlo. Una delle statue stava guardando nella sua direzione. Non l’aveva notata prima e rise di sé.
«E va bene Nicolas» gridò alla chiesa vuota «se questo è quello che vuoi, farò il tuo stupido servizio.» Tornò indietro e spulciò la registrazione, speranzoso di aver catturato l’immagine di Nicolas – ammantato come una delle tante statue – che andava a sedersi per spaventarlo.
I primi minuti di registrazione mostravano il suo ingresso in chiesa, accompagnato da Nicolas. E lì si manifestò la prima di una lunga serie di anomalie. Le statue che erano state poste all’ingresso, non erano quattro, ma tre.
Si girò di scatto. Erano tre.
«Ma che diavolo…» bisbigliò.
Le guardò con attenzione, le contò una dopo l’altra, invano, poiché non ne ricordava il numero esatto che l’artista aveva realizzato. Ne contava trentatre in tutto.
Chiuse gli occhi e fece mente locale, concentrandosi sulla marea di informazioni che aveva raccolto. Ricordava qualcosa legato alle vittime del ’68, quando il soffitto aveva ceduto. Erano state trentadue e proprio a quel numero Hadrava si era ispirato per la sua creazione.
Trentadue e non trentatre. Ce n’era una di troppo.
«Porca…»
Zabiju tě, pokud nechcete jít pryč.
Stavolta non era stato solo un sussurro, era una voce potente e proveniva da una delle statue.
«Nicolas, se questo è uno scherzo» aveva perso la sicurezza, la mente stava vacillando in un mare di nulla, completamente naufragata nella paura. Non continuò la frase, non era certo di essere in grado di formulare una minaccia nella condizione in cui si trovava.
Ritornò a riprendere le statue, muovendo la telecamera da destra a sinistra. Aveva ormai raggiunto l’altro capo della navata, là dove si ergeva un uomo solitario, che osservava i fedeli in preghiera, quando un disturbo fece friggere l’immagine della telecamera.
Daniel tremò e notò che una delle statue era scomparsa. Contò e ricontò disperatamente. Erano trentadue. Una di meno.
«Dove cazzo sei?» chiese con i denti digrignati. «Fatti vedere.»
V tomto případě, zůstává u nas.
Daniel sentì qualcosa afferrargli un braccio, ma non rimase immobile ad aspettare che accadesse qualcosa, corse lungo la navata e si voltò di scatto per registrare il suo assalitore.
C’era una statua, immobile. Una statua che non sarebbe dovuta essere lì, una statua che non era mai stata costruita.
Daniel urlò mentre corse alla porta e il suo urlo salì di un’ottava mentre qualcuno gli afferrava le caviglie e lo trascinava via.
***
La chiesa di San Giacomo è molto conosciuta e chiunque passi per il distretto di Ústì nad Orlicì fa tappa a Lukova per visitarla. Quindi era consono per Nicolas vedere tanti turisti già di buon mattino, nel momento in cui i più paurosi decidevano di vedere le statue.
Attese per una ventina di minuti dalla parte opposta del marciapiede che Daniel varcasse le porte con la sua aria baldanzosa, pronto a dirgli che non c’era assolutamente nulla di paranormale in quell’edificio. Era pronto a ricevere il verdetto, fosse anche il meno desiderato. Più il tempo passava e più si convinceva che Daniel fosse fuggito per la paura.
Non attese oltre, entrò insieme a due anziane e si guardò intorno. Tutto era nella norma, i soliti ragazzini idioti che scattavano selfie con le statue, le solite anziane che pregavano.
Daniel non era lì. Sorrise al pensiero che fosse fuggito con le gambe in aria per la paura. L’avrebbe raggiunto alla pensione in cui alloggiava e si sarebbe fatto beffe di lui per il resto del suo soggiorno. Fece per andare via, ma si accorse di un borsone nero addossato a una parete. Si avvicinò e controllò il contenuto. Non aveva dubbi: era il materiale per le riprese che Daniel aveva portato con sé. Dunque non era andato via. Esaminò in lungo e in largo la navata, destando la curiosità – ma anche la paura – dei presenti, finché trovò la videocamera dell’uomo. Era abbandonata accanto a una statua, una delle poche a possedere uno squarcio sulla tunica che la ricopriva, all’altezza del viso. Nicolas riusciva a vedere l’interno, completamente vuoto.
Provò ad accenderla, ma la batteria doveva essere scarica. Si issò con sforzo, con la vecchiaia aveva cominciato a soffrire di dolori alle articolazioni.
Proprio nel mentre in cui compiva lo sforzo, sentì un flebile fruscio provenire dalla statua.
Si bloccò e la guardò con attenzione. Non c’era nulla di anomalo e andò via.
Dallo squarcio all’interno della statua Daniel urlava all’uomo di fermarsi, di aiutarlo. Perché qualcuno, qualcosa, lo stava tenendo bloccato lì, in una chiesa esattamente identica a quella di San Giacomo. Ma lì le persone incappucciate non erano statue.

Pubblicato da Lettere Animate Editore nella raccolta Short Story 2:http://goo.gl/0ST7Lv
Autore: Gina Pitarella

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